| Locke Helring
Tattoo era contento, mentre passeggiava nei corridoi puliti ed ordinati del Distretto, camminando a passi molleggiati fra i boriosi e rigidi soldati dell'èlite. Cos'hanno questi tizi, una ramazza infilata su per il culo? pensò fra sè e quasi scoppiò a ridere. La Dottoressa Rives sembrava invece più a suo agio, una persona normale in un contesto normale. L'unica cosa fuori posto in quel concetto di normalità erano gli anelli nei suoi occhi, che non davano comunque troppo nell'occhio, se si può concedere l'espressione. L'ambiente invece non lo entusiasmava molto. Quando lavorava, amava sporcarsi le mani, operare in un ambiente grezzo, un ambiente ruvido e destinato solo a costruire la bellezza, non a farne parte. Varcò le porte di sicurezza dopo le due donne, aspettandosi una stanza vuota, bianca e asettica. Non restò deluso. Grazie, doc disse con un sorrisetto. Da qui in poi posso cavarmela da solo. Mi serve solo una fonte di calore costante regolabile che possa raggiungere almeno i seimila gradi, e un cannone, o qualcosa di equivalente. Non chiedetemi perchè, è solo che non sarò sicuro delle capacità dell'armatura finchè non avrò usato dell'artiglieria contro il supervetro. Si fregò le mani, contento come Jack lo Squartatore davanti ad un bordello che regalava bisturi a chi entrava. Oggi avrebbe varcato la linea invisibile che divideva sogno e realtà. Avrebbe creato qualcosa che avrebbe valicato i limiti della gravità, del suono e della luce. Beh, forse per la luce dovrà aspettare a trovare qualche alimentazione alternativa abbastanza potente, ma intanto perchè limitarsi? Vediamo di iniziare a lavorare e arriverò dove posso. Questo laboratorio è la mia ostrica, e ora ne trarrò fuori una bellissima perla. Osservò il forno industriale che gli fornirono in un batter d'occhio. Decisamente di qualità, quello che serviva per il lavoro che aveva in mente. Procuratemi cobalto, silicio, zinco e carbonio, oltre a sabbia fine di prima qualità, disse, i sacchi di sabbia che ho portato potrebbero non bastare. Ah, già, anche una bombola di elio. Una volta che gli ingredienti furono portati lì, Locke si rivolse a tutti quelli che lo avevano aiutato. Lasciatemi solo, questo è un lavoro che richiede un professionista. Stupiti, un po' scettici e quasi infastiditi, gli addetti, Joanna e la dottoressa lasciarono il laboratorio. Locke osservò solo per un istante il candore della stanza, quindi iniziò a lavorare di buona lena. Iniziò subito a fondere grandi quantità di sabbia fine nel forno, dopo averlo settato a cinquemila gradi. in poco tempo una sostanza incantescente, traslucida, e molto instabile, sostituì la sabbia nel forno. Locke prese subito a inserire nell'impasto le dosi di cobalto che aveva dosato accuratamente poco prima, più una parte di zinco. Quindi estrasse la sostanza e provò a raffreddarla. si accorse subito che le dosi non erano abbastanza consistenti, quindi aggiunse altro zinco. Subito il vetro ritornò a sembrare normale vetro. Intanto Locke aggiunse silicio ad un composto che aveva posto in un altro vano del forno. Mentre le due sostanze cuocevano, aspettò, pensando agli eventi che l'avevano portato lì. Forse ne era valsa la pena, visto che la sua ferita era stata guarita ahi, non del tutto, pensò avvertendo una lievissima fitta. Indossò le cuffie del suo mp3 e canticchiò un paio di motivetti degli Hollywood Undead, abbozzando qualche passo di danza per il suo inestistente pubblico. Non gli piaceva troppo ballare in pubblico, ma amava ugualmente il ballo. Gli sembrava che in quei movimenti si formasse una geometria forgiata dal tempo e dai muscoli, potenti artigiani incuranti e ignoranti della loro arte. Mentre ballava, da solo, con una musica che sentiva solo lui, claò in uno stato di più profonda consapevolezza, nonostante la semplice concezione del tempo che passava fra una sua azione e l'altra, un misero, breve tempo di attesa fra due fasi della preparazione del vetro. Si sentiva come se il suo lavoro fosse osservato dal fato, un umile maniscalco al servizio dell'universo senziente e misterioso in cui ognuno viveva. Si riscosse, notando che la cottura stava giungendo a compimento, forse troppo in fretta. Abbassò di poco la temperatura, quindi preparò un manichino che aveva le sue stesse fattezze, un aggeggio che aveva assemblato nel tempo libero a casa sua e che aveva portato lì. Non poteva certo assemblare e soffiare il vetro direttamente sul suo corpo, dopotutto. Presa la cannuccia, estrasse il composto e iniziò a soffiarlo sul manichino, facendo attenzione a non farlo attaccare. Contemporaneamente, maneggiava due spatole corte, strette e leggermente curve che servivano appositamente allo scopo di manipolare il vetro senza scottarsi. Si tolse la maglia, indossò uno sporco grembiule da lavoro sul petto nudo, ricoperto solo di sudore e intricati tatuaggi, e soffiò, mentre sostituiva in continuazione gli strumenti, con pinze, tenaglie, martelletti, addirittura trapani adattati con punte piatte e larghe, al fine di ottenere i risultati migliori. Apriva buchi e ne chiudeva, quindi applicava con un pennellino dalle setole resistenti al calore il composto a base di silicio, che penetrava nella struttura ancora semisolida. Quindi passava ll'operazione successiva, raffreddare un pezzo alla volta dopo averlo separato dagli altri. Contemporaneamente applicava altri pezzi separati incastonandoli nella forma di quel vetro particolare, la cui composizione e formula era in contrasto netto con qualsiasi cosa Locke avesse fatto prima di allora. Solo i suoi ciondoli erano stati un tentativo riuscito. Sperò che questo fosse un passo avanti. Dopo otto ore ininterrotte di lavoro, Locke si avvicinò all'interfono della stanza, comunicando che aveva finalmente completato il lavoro. Poi, con un sorriso folle e felice sul volto, si accasciò a terra esausto, ma non svenuto. Quando Joanna e la Dottoressa Rives entrarono, si precipitarono su di lui per controllare che fosse a posto. Mi state offendendo, rispose lui in unflebilo, quasi in uno stato delirante. Non vi state minimamente cagando la mia opera numero uno, il mio capolavoro... e poi svenne definitivamente. Fu allora che tutti notarono l'Armor Locke. Era quasi invisibile, di un vetro assolutamente trasparente, che non rifletteva quasi nulla. Solo da certe angolazioni, era possibile individuare la forma di quella tuta composta da affusolate piastre ad incastro, da un elmetto a sfera e da un sistema particolarmente complesso di microbulbi e gangli vetrosi che correvano fra uno strato dell'armatura e l'altro. In tutto l'armatura restava estremamente compatta, quasi sottile, intercorrendo per la maggior parte della struttura 4 cm al massimo fra lo strato più interno e quello più esterno. Alla base, dove c'erano le gambe, erano innestate delle ruote con strutture multiple, come se le ruote potessero essere sezionate e aperte in più strutture circolari che servissero ad un qualche misterioso scopo. Anche gli assi che attaccavano le ruote alla base dei piedi erano connesse attraverso intricati sistemi di perni, giunture e altro, che sembravano impossibili da realizzare in vetro. Eppure erano lì. L'intera armatura sfidava la meccanica, la chimica, la fisica, eppure era lì. Anche il solo fatto che fosse così difficile vederla era fonte del nutrito sospetto che fosse un sogno materializzato, qualcosa di reale solo a metà, percepito solo dalla parte irrazionale di ognuno degli spettatori. L'armatura era pronta.
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