| Ethan Taylor
Erano ormai diversi minuti che lui e Arizona camminavano per le strede impolverate di Stjarna; fortunatamente non avevano avuto problemi nell'andare via dal Ritz, e ciò aveva tranquillizzato Ethan. Il silenzio era però calato tra i due, rendendo l'atmosfera quasi surreale e tesa: probabilmente era dovuto al fatto che entrambi stavano mantenendo la guardia alta, ancora sospettosi di un probabile attacco. E mentre percorrevano strade per lo più disabitate Ethan si soffermò nello studiare diversi edifici: l'architettura della vecchia Boston non era certo all'avanguardia come quella di città come New York o Los Angeles -all'epoca città del tutto innovative e nuove-, e di certo ora come ora non reggeva il confronto con quella delle Colonie, ma, osservandola, Ethan provò un forte senso di nostalgia. Quella non era certo casa sua, ma gli ricordò Phoenix, la vecchia vita che vi conduceva, le sue strade e lo scenario che s'era ritrovato davanti quando mesi prima era tornato a visitarla. E perso tra i suoi pensieri, si ritrovò a guardare Arizona, comprendendo il modo in cui dovesse sentirsi a vivere lì, e il sentimento che l'aveva spinta a tornarci. Lui aveva lasciato Phoenix quando era solo un bambino, non ne aveva ricordi vividissimi, ma saperla solo un ammasso di edifici abbandonati, sfruttati alle volte solo da pochi ribelli, gli creava un grande senso di sconforto. La mattinata andava ad inoltrarsi sempre più, e la luce del sole si faceva calda, picchiando con insistenza sulle loro teste, divenendo fastidiosa alla vista e al corpo, tanto dal portarli a cercare l'ombra formata ai piedi degli altri palazzi. Ironicamente Ethan si disse che probabilmente un aspetto positivo c'era in tutta quella desolazione: le enormi vetrate che un tempo costituivano palazzi come uffici o centri commerciali erano per lo più distrutte, e il sole non vi rimbalzava più contro, senza creare ulteriore senso di fastidio. Ma guardandosi intorno non potè far a meno di provare un nodo allo stomaco, chiedendosi dove sua sorella avessa alloggiato durante quell'anno trascorso a Stjarna; con chi, soprattutto. Si chiese se magari non ci stessero passando davanti a quello che era stato il suo rifugio, o se data la sua posizione l'avessero tenuta direttamente al Ritz. E sospirò quando, schioccando la lingua contro il palato si decise a rivolgersi nuovamente alla ragazza; osservandola gli parve piuttosto tesa, e un leggero senso di colpa gli attraversò il corpo. La conosceva da nemmeno un giorno e già l'aveva messa in casini non indifferenti. Sperò solo che dato l'episodio di poche ore prima qualcuno non se la dovesse prendere con lei; non ne sarebbe andato affato fiero. Tantomeno contento. La gentilezza spontanea e genuina con cui le gli si era rivolta e l'aiuto incondizionato datoglie, l'avevano colpito non poco, lasciandolo sorpreso. Non aveva ricevuto trattamenti del genere nemmeno in alcuni insediamenti umani in cui aveva soggiornato per alcuni giorni; cosa comprensibile, da un certo punto di vista, data l'ostilità con cui essi guardavano i CCP; nonostante l'atteggiamento pacifico che aveva sempre assunto, il timore era sempre rimasto, ma Ethan aveva ormai imparato a farci l'abitudine, senza pretendere mai troppo. Mi dispiace d'averti creato problemi, iniziò quindi, rompendo il silenzio e parlandole con tono sincero e sguardo basso, fiddo sulla propria ombra non era affatto mia intenzione, anzi. Sei stata fin troppo gentile e paziente con me e, anche se so che probabilmente non vale molto, credo che apprezzerai il mio grazie più di quel tipo che m'ha dato informazioni. e le sorrise questa volta con vera spontaneità, inspirando profondamente e lanciando lo sguardo verso alcune nuvole bianche e ovattate nel cielo. A tal proposito non saprei proprio come organizzarmi, si disse poi, tra se e se, sospirando e andando poi a grattarsi la testa, distratto. Ciò che ho ottenuto è solo l'inizio del nulla.
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